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venerdì 30 gennaio 2015

MARC CHAGALL. UNA RETROSPETTIVA 1908 - 1985



La mostra "Marc Chagall. Una retrospettiva 1908-1985", entra nell'ultima settimana di apertura e il Comune, vista la grande affluenza, ha deciso di prolungare gli orari di visita. Da mercoledì 28 gennaio e fino a domenica 1 febbraio, ultimo giorno di apertura, la mostra sarà visitabile tutti i giorni fino a mezzanotte, con ultimo ingresso alle ore 22.30.

Avevamo già parlato di Chagall nel post dedicato alla mostra CHAGALL, IL SOGNO E IL SEGNO- dalla Bibbia a Vervè poco più di un anno fa. Quello che viene proposto a Milano è una vera e propria retrospettiva (oltre 220 opere) che accompagna il visitatore lungo tutto il percorso artistico di Marc Chagall, accostando opere delle collezioni private degli eredi a prestiti dai maggiori musei del mondo (il MoMa, il Metropolitan Museum di New York, la National Gallery di Washington, il Museo Nazionale Russo di S.Pietroburgo, il Centre Pompidou).


"Scorrono gli anni, volano i mesi e i giorni.
Ti svegli una mattina e pare che sia finito un altro anno,
ma è soltanto un altro giorno"

chagall, nascita, 1911
Chagall, La nascita, 1911.

La pittura di Chagall racconta visioni, rappresentazioni di un mondo magico, ispirato dalla cultura popolare russa e dalla religione ebraica. I suoi quadri nascono da una combinazione perfetta di sogno e immaginazione, con una pittura fresca, morbida e sinuosa. Tra i soggetti ricorrenti figura il mistero della nascita, come in quest'opera del 1911. La tela è divisa in due da una diagonale: in basso i colori chiari richiamano la nascita, in alto il nero ci porta in un'atmosfera più cupa. Pare che quest'opera riprenda l'episodio autobiografico del pittore, il quale nacque senza respirare e si riprese solo dopo esser stato immerso in una vasca d'acqua gelida. La cesta sulla destra e il bambino in mano alla figura in ombra richiamerebbero proprio questo episodio. La madre è sdraiata, come una futura Olympia, e qualche linea rosso sangue ne segna il profilo. Il rosso emerge nella parte inferiore del dipinto anche nelle linee trasversali sul pavimento, richiamando l'idea del sacrificio insito nella nascita.

Le prime opere di Marc Chagall sono dedicate alla città natale. Trattano temi tipici della pittura di genere e del folclore locale: feste di nozze, sagre, funerali ecc. I colori sono intensi e cupi, le atmosfere inquietanti.



Ebreo in rosa, 1915


Soggetto dell'opera proposta qui a destra è un viandante, seduto davanti al grande triangolo della casa di Vitebsk e con il mento incorniciato da una barba fiammeggiante. Il dipinto fa parte di una serie di ritratti di vecchi ebrei realizzati da Chagall tra il 1914 e il 1916. Il rosa e il rosso esaltano l'oro, sullo sfondo, di un arco semicircolare con delle iscrizioni riprese dalla Torah. Il soggetto rappresenta un vagabondo trasformato dal pennello di Chagall in un sapiente dal quale scaturisce la potenza dello spirito profetico. alcuni dettagli richiamano la Bibbia: il calamaio che simboleggia le Sacre Scritture, l'albero fiorito in terra sterile che ricorda il bastone fiorito di Aronne e le lettere che si vedono scritte in cielo. Il diverso colore dei guanti fa riferimento alla cultura yiddish: il verde simboleggia lo stato di malattia, e quindi segna lo stato d'animo del personaggio, immerso nella solitudine e nei pensieri opprimenti, mentre la mano bianca, simbolo della luce divina. si richiama alla speranza che proviene da Dio.





Iniziato nel 1923 all'epoca della diffuzione del nazismo in Germania, la "Caduta dell'angelo" fu completata solo nel 1947, mentre l’artista attraversava una fase di totale angoscia a causa dell’invasione della Russia da parte dell’esercito tedesco, Nel dipinto è evidente la percezione di Chagall dell’addensamento delle nubi minacciose che incombono sul popolo ebraico.
Caduta dell'angelo, 1923-1933-1947

I colori si scuriscono, le ombre aumentano e compaiono le effigi tragiche del Cristo crocifisso (seppur coperto da un drappo ebraico), della Madonna, accostata a quello dell’ebreo in fuga e del rabbino che cerca di salvare i rotoli della Torah. La figura del messaggero angelico si è trasformata in un’immagine demoniaca: il precipitare della creatura ribelle alla volontà di Dio. Una visione apocalittica del cosmo accentuata dal disordine che impedisce di distinguere le cose del mondo; la presenza simultanea del sole e della luna stanno a significare anch’esse l’eclissi del tempo. La pendola che accompagna l'angelo nella sua caduta è una potente metafora della fine del mondo. Notiamo le immancabili case rurali della natìa Vitebsk, che rimandano ai ricordi dell’infanzia dell’artista. Una delle più superbe allegorie della tragedia ebraica in cui tutti i motivi portanti dell’iconografia chagalliana concorrono a simboleggiare il precipizio in cui il mondo del male trancia l’umanità, come se il pittore stesso cerchi una spiegazione alla guerra in questa sua oscura visione. L’animale color giallo oro che suona il violino, bestia innocente illuminata dall’oro della trascendenza, simboleggia la consolazione per l’umanità devastata. La superficie è completamente ridipinta, con masse compatte in cui si mescolano i toni scuri, a indicare l’impossibilità di penetrare le tenebre del caos universale.

Resurrezione in riva la fiume, 1947


Nel 1947, quando Chagall esegue questo dipinto, le immagini delle torture subite dagli ebrei nei campi di concentramento erano già state rese pubbliche. Qui l'artista riprende il motivo familiare del Cristo in croce per offrire una testimonianza della distruzione programmata del popolo ebraico, dato che, come scrive l'artista in una lettera al poeta Joseph Opatoshu, «ogni uomo dovrebbe provare che cosa significa essere un ebreo con il sacco in spalla». La sua è una denuncia agli orrori della guerra, resa con forza espressiva rara. In alto, illuminata dal riverbero di un incendio, la città di Vitebsk sembra consumarsi sulle sponde della Dvina. La scena di distruzione è sovrastata da un Cristo in croce, simbolo universale di una umanità sofferente e testimone della desolazione in cui sono gettate le popolazioni strappate alla città natale, che indossa il tallit, scialle della preghiera. Nel centro violaceo un groviglio di fantomatiche forme umane, uomini e donne sovrapposti, preceduti da un angelo con una bracciata di fiori al lato del quale appare un'ombra chiara, simile a un'anima che pare sollevarsi e tendere la mano verso quella del Cristo. In basso a sinistra una madre con il bambino in braccio guarda speranzosa al cielo. 








CHAGALL. UNA RETROSPETTIVA 1908 - 1985
17 Settembre 2014 – 1 Febbraio 2015
Milano, Palazzo Reale

ORARIO APERTURA
Lunedì, martedì e mercoledì dalle 9.30 alle 19.30
Giovedì, Venerdì, Sabato dalle 9.30 alle 22.30
Domenica dalle 9.30 alle 21.00
(la biglietteria chiude un’ora prima)

Per maggiori informazioni: http://www.mostrachagall.it/info/

sabato 17 novembre 2012

Picasso a Palazzo Reale

Il bacio (dettaglio), 1925
Welcome back Milano!
Tornare a Milano dopo averci vissuto fa sempre piacere, anche se fa altrettanto piacere avere conferma di non volerci vivere stabilmente. Essendo a Milano, ho approfittato per andare a Palazzo Reale a vedere l'esposizione dedicata a Picasso e curata da Anne Baldassarri, direttrice del Museo Nazionale Picasso di Parigi.
La mostra è stata pubblicizzata come un grande evento, riproposto nella città meneghina per la terza volta, dopo le mostre del 1953 e del 2001. Proprio in memoria della grande esposizione del '53, le prime sale riportano una ricca sezione documentaria (anche se ammetto che la mia brama di vedere le opere mi ha portato a pensare "carte, carte, carte..").
Il Massacro in Corea accoglie i visitatori all’ingresso della Sala delle Cariatidi.

Massacro in Corea, 1951.
Goya, 3 maggio 1808, 1814.

I fucili spianati rievocano quelli delle truppe napoleoniche puntati sulla popolazione spagnola nel 3 maggio 1808 di Goya. In entrambi i dipinti i fucilieri sono senza volto (nel caso di Goya addirittura sono di spalle), ritratti come una massa anonima, rigida, pronta ad agire freddamente. Al contrario le vittime sono caratterizzate da espressioni del viso terrorizzate, da movimenti scomposti che li portano a riunirsi in gruppo per farsi forza a vicenda. Ma la cosa che più mi ha colpito sono le differenti reazioni delle vittime: le donne, mature, ormai appesantite dalle tristi esperienze di guerra già vissute, hanno il viso trasfigurato dal dolore...forse per sé stesse, sapendo a cosa vanno incontro, o forse per quei bambini, così piccoli e innocenti. Il ragazzino, dall'aria sorpresa e spaesata, corre verso la ragazza, che rimane ferma, inerme. Come se entrambi, già ragazzi ma non ancora adulti, comprendessero di trovarsi in una situazione pericolosa ma senza esser veramente consapevoli. Il bimbo, a terra, rappresenta l'infanzia, l'ingenuità e l'innocenza più pura: in mezzo alle grida di spavento, si accuccia, pacifico, a raccogliere dei fiori. Ed è per lui la mia emozione più profonda.
Si sente la mancanza di Guernica, anche se la sala riporta un'ampia didascalia sull'opera e la documentazione fotografica che la ritrae nelle varie fasi di definizione.

Picasso, Celestina, 1904.


Di fronte alla Celestina, meraviglioso esempio del periodo blu, non si può che rimanere senza fiato. 
Celestina, orba da un occhio, ha lo sguardo interdetto: le sopracciglio arcuato, la bocca inarcata verso il basso.






Picasso, Testa di donna (Fernande),1909
Congelata e rapita nel suo mare turchese è immortale, eppure così umana e mortale nella sua espressione e cecità.




Percorrendo le fasi di Picasso, rappresentate da più di 250 opere esposte, è possibile ripercorrere le più influenti correnti del Novecento.  Non mi meraviglia, quindi, rivedere nelle ciocche dei capelli della Testa di donna, lo stesso movimento dei muscoli tesi nel movimento in Boccioni

E così la testa di donna (Madeleine) del 1905 ricorda invece gli inafferrabili disegni di Odilon Redon, mentre la donna che implora il cielo mi riporta alla mente le giunoniche donne sironiane.


Picasso, Il bacio, 1925



Nel bacio, i corpi sono scomposti eppure riconoscibili. Ciò che dovrebbe rappresentare un abbraccio è in realtà una lotta di forme e colori in contrasto.
A sinistra l'uomo stringe la sua compagna imperioso, quasi assorbendola completamente, mentre lei si lascia rapire dal bacio, piegando il capo all'indietro. 
Nel suo intricato intreccio di corpi, è un'opera primordiale eppure sensuale, carica di passione travolgente.

Nei giocatori di calcio sulla spiaggia del 1928 (di cui purtroppo non ho un'immagine da offrirvi), il corpo del giocatore è deforme, dagli arti spropositatamente lunghi. Eppure la sua ombra, proiettata sulla cabina, è diversa, è proporzionata e armoniosa. Quasi fosse una metafora dell'odierna società dell'apparenza, la sua immagine riflessa è umana mentre ciò che è realmente è mostruoso. 



Picasso, La Supplicante, 1937



Con i suoi occhi a forma di lacrima e le sue braccia alzate in preghiera, la Supplicante ci guarda e implora. La bocca spalancata, con i denti in mostra, ricorda quasi una dentatura equina, accentuando il senso di disagio dello spettatore di fronte al suo grido.
Quello della supplicante è un dolore estremo, ma anche carico di fede; del resto la supplica nasce solo di fronte alla speranza (fede) di ottenere un aiuto, una risposta favorevole. Forse è questa sensazione che mi porta a leggere la veste nera e il velo, come un richiamo alle vesti da monaca; quasi volesse innalzare il dolore e la disperazione a sentimenti sacri.





Picasso, Femmina che piange VII, 1937



Nella femmina che piange torna la forma a lacrima per gli occhi, ma questa volta il dolore non è più sacro ma tragico. Le lacrime, come chiodi, tracciano rigide dei solchi sulla guancia. La fronte è rigonfia in una tremenda protuberanza: il dolore è come un tumore che le scoppia dalla mente (o forse dal pensiero che la porta a soffrire?).
La bocca, nuovamente spalancata nel suo grido di sofferenza, rende ancora più tragica l'espressione del volto.




Picasso, Ecce homo. D'Apres a Rembrandt, 1970






Verso la fine della sua vita, Picasso ha creato una ripresa della sua carriera in alcune incisioni, un sipario oltre il quale ritornano molti dei suoi attori, come in questa Ecce homo. D'Apres a Rembrandt
Come se ciò che è lasciato in luce (e quindi sul palco) fosse l'apparenza: pulita, chiara, quasi guidata da una legge superiore (ricollegabile forse anche alle mani e al viso che sporgono in alto sul sipario, come a guidare dei burattini).
Nell'ombra è il caos. Spettatori e donne che si disperano, corpi confusi sulle gallerie. Altrettanto dietro le quinte del teatro è il fermento: linee in movimento pronte a divenire bianco ordine sulla scena.



Nel complesso, una mostra ben allestita e completa per quel che riguarda il percorso cronologico dell'artista. Alcune opere eccezionalmente emozionanti, anche se rimango soddisfatta a metà.


"Io miro alla somiglianza più profonda,
più reale del reale
che raggiunga il surreale"
P. Picasso



Fino al 6 gennaio 2013.

ORARI:
lunedì, martedì e mercoledì: 8.30-19.30
giovedì, venerdì, sabato e domenica: 9.30-23.30

INGRESSO: intero € 9, ridotto € 7,50, ridotto speciale € 4,50

Maggiori info sul sito mostrapicasso.



giovedì 28 giugno 2012

I funerali dell'anarchico Pinelli


Nella Sala delle 8 Colonne è in mostra il Funerale dell'anarchico Pinelli, ad opera di Enrico Baj. L'installazione è visibile gratuitamente nella sala anche detta delle Cariatidi, a Palazzo Reale a Milano, dal 21 giugno al 2 settembre 2012.

L'allestimento, avvenuto sotto la supervisione di Giorgio Marconi, riporta l'opera alla sua destinazione originale dove nel 1972 doveva essere esposta seppur, per "motivi tecnici", ciò non avvenne.
Tra il rame della ruggine e le poche statue delle Cariatidi sopravvissute ai bombardamenti della guerra, la sala si carica di pathos e tensione. La stanza è semibuia, umida e scrostata. L'impressione è quella di essere accolti in un limbo senza tempo. Le cariatidi, illuminate dal basso, sorvegliano l'opera come spiriti eterni e gli specchi, che si alternano ad esse, dilatano lo spazio aiutando a perdere la concezione del "qui e ora".
In fondo alla sala, come un'epifania, la grande opera illuminata.


I corpi sono realizzati con materiali poveri: corde, cinture di cuoio, bottoni, ingranaggi, lacrime pesanti come sassi. Una figlia si copre il volto per non vedere, l'altra tende le braccia per salvarlo, mentre la moglie Licia sembra essere fuggita dalla Guernica di Picasso per piangere con strazio l'addio al suo amato.



Pinelli non è staccato dal pannello di fondo per stare davanti insieme alle donne della sua famiglia, ma si trova al centro simbolico e fisico della scena retrostante. Grida talmente forte che la faccia si sdoppia, deformata dall’aria che riempie il palato.
Una serie infinita di mani giunge dall'altro, ma non è certo la mano della Provvidenza.
Eppure l'opera di Baj non offre risposte sul passato.

La notte successiva alla strage di Piazza Fontana la polizia fermò 84 sospetti, tra cui Pinelli, che venivano rilasciati man mano che il loro alibi veniva verificato. Tre giorni dopo, il 15 dicembre, Pinelli si trovava nel palazzo della questura, sottoposto ad interrogatorio da parte di Antonino Allegra e del commissario Luigi Calabresi, oltre che tre sottufficiali della polizia in forza all'Ufficio Politico, un agente, ed un ufficiale dei carabinieri, quando dalla finestra dell'ufficio dove stava avvenendo l'interrogatorio precipitò dal quarto piano in un’aiuola della questura. Fu portato all'ospedale Fatebenefratelli, ma ci arrivò già morto.

Per i più curiosi su questo oscuro momento della storia italiana, consiglio quanto meno il film  Romanzo di una strage, con la regia di Mario Tullio Giordana.


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