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mercoledì 24 ottobre 2012

Gli angeli della pietà


Questo è il titolo della mostra, curata da Marco Bona Castellotti e Massimo Pulini, in allestimento al Museo della città di Rimini.
Testa del San Giovanni Battista
L'intento della piccola mostra è quello di concentrare di nuovo l'attenzione sulla splendida tela di Giovanni Bellini raffigurante Cristo morto con quattro angeli, in confronto con il Cristo e angeli di Marco Zoppo del Museo Civico di Pesaro, il rilievo quattrocentesco in cartapesta del Museo di Faenza e  la tavola di Francesco Francia della Pinacoteca Nazionale di Bologna.  La mostra ruota attorno agli studi sul contenuto iconografico dell'opera (ciò che colpisce è l'insolita compostezza degli angeli, oltretutto quattro anziché due) e sull'attribuzione della Testa del San Giovanni Battista (dal Museo Civico di Pesaro), qui riproposta come opera del Bellini. Più che soffermarmi sugli intenti di studio perseguiti dalla mostra (ed eloquentemente illustrati già nel comunicato sul sito del Comune di Rimini), vorrei soffermarmi sulla bellezza dell'opera, spesso sconosciuta agli stessi riminesi.

Giovanni Bellini, Cristo morto con quattro angeli.

Quest'opera, infatti, è in grado di riassumere la sublime capacità di Bellini nella resa di atmosfere eteree, inafferrabili, quasi sospese nel tempo. 

Giovanni Bellini, Orazione nell'orto.


Per intenderci: prendiamo in esempio un piccolo dettaglio dell'Orazione nell'orto di Bellini, in confronto con lo stesso soggetto dipinto però da Mantegna (cognato di quest'ultimo).

Il soggetto è il medesimo ma la resa è completamente differente. Nel quadro di Bellini la luce dorata del cielo accarezza il paesaggio addolcendolo e delinea con sottili tocchi le nuvole. L'ambiente riesce a rendere l'idea del calore e della spiritualità del momento.


Andrea Mantegna, Orazione nell'orto

In Mantegna, invece, è evidente una certa ruvidezza nella resa delle rocce. Con tocco quasi scultoreo, il pittore ricrea un ambiente quasi arido, desertico, caratterizzato da una natura pietrosa e da rocce scheggiate.

Mi rendo conto che le immagini che vi propongo sono piccole, ma potete trovarle a grandezza ottimale cercandole su Web Gallery of Art.






Tornando al Cristo morto del museo Riminese, il Cristo ha il capo abbandonato su una spalla, gli occhi socchiusi quasi da un dolce sonno e la bocca semi-aperta... viene quasi da chiedersi se avrà già liberato il suo ultimo respiro. 

La grazia con la quale è sorretto dagli angeli e con la quale il braccio destro scivola lentamente sino ad appoggiarsi al piano.. Il calmo rigolo di sangue che dalla ferita scorre silenzioso fino alla vita.. Tutto rimanda ad un'atmosfera di quieta compostezza, quasi il Cristo non stesse morendo di una morte tragica e sofferta, ma si stesse gradualmente addormentando..con il corpo che diventa man mano più pesante.

Francesco Raibolini, detto il Francia,
Cristo in pietà fra due angeli




Bel diverso il Cristo in pietà fra due angeli del Francia, dal corpo irrigidito e scultoreo. Gli angeli guardano altrove, sono assenti, mentre in Bellini partecipano al sua morte, con affetto e dolcezza.


Basta osservare la delicatezza con cui l'angelo a destra sorregge la mano del Cristo nell'opera di Bellini. 


Ha gli occhi apparentemente chiusi, ma il capo inclinato ci porta a pensare che stia posando il suo sguardo sulla ferita della mano con malinconica consapevolezza.
La veste gli cade, scoprendogli una spalla, ma egli è preso nella contemplazione di quella stimmata, di quel sacro simbolo: un simbolo muto eppure parlante, emblema dell'esperienza del dolore. 


L'opera merita decisamente il nostro sguardo, anche se la micro-mostra in sé non rivela una vera ricerca storico-artistica, come sottolineato anche da Gianmarco Russo nel suo articolo su Artribune. Mi unisco inoltre alle sue critiche per quel che riguarda l'utilizzo degli angioletti come "icone-pop" all'ingresso della mostra e sulle didascalie. Per quanto l'imponente cartone dell'angelo all'ingresso mi abbia aiutato a colpo d'occhio a trovare la sala dedicata alla mostra, trovo vagamente imbarazzante il loro utilizzo pubblicitario. Se già Benjamin aveva rilevato la perdita dell' "aura" dell'opera nel saggio L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica (1936), questo di certo non aiuta a ridarle valore. Un'opera d'arte deve poterci rapire profondamente, non semplicemente colpire come un'insegna pubblicitaria lungo la strada.
Inoltre, citando nuovamente Russo: se l'intento della mostra era anche quello di far riflettere sulle questioni attributive del tondo di Pesaro (se opera del Bellini o di Marco Zoppo), "perché non disporre sulla stessa parete e a una distanza minima le due Pietà – quella di Zoppo e quella di Bellini – e frapporvi nel mezzo il tondo pesarese, così da permettere un paragone diretto fra i testi pittorici?"




La mostra è visitabile fino al 4 novembre 2012  nei seguenti orari:

da martedì a sabato: 8.30–13 | 16–19

domenica e festivi: 10–12.30 | 15–19

lunedì non festivo chiuso.


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