lunedì 30 aprile 2012

Wildt. L'anima e le forme da Michelangelo a Klimt.



Sono stata a questa mostra dedicata ad Adolfo Wildt un paio di giorni fa. Le premesse erano interessanti: "genio dimenticato del Novecento italiano", "un caso unico in questo suo essere in ogni istante tutto e senza luogo". Sicuramente va riconosciuta all'artista una incredibile eccellenza tecnica, sia nella lavorazione che nella scelta dei marmi, e particolarmente interessante è la parte della mostra dedicata all'Atelier della scultura, in cui si possono ammirare i materiali e bozzetti che, passaggio per passaggio, illustrano le fasi del lavoro.


La prima sala si apre subito con la "Maschera del dolore (autoritratto) del 1909.
L'opera trasuda la disperazione delle antiche maschere per le tragedie greche. I muscoli, contratti in una smorfia quasi crudele, propongono un volto dallo sguardo cavo e dalla fronte aggrottata sotto il peso del dolore vissuto personalmente negli ultimi tre anni. Lo sfondo dorato, patinato, riporta il nome dell'artista e tre croci (simbolo dei tre difficili anni trascorsi). Sembra quasi la celebrazione di un morto, dopo tante sofferenze..
L'opera è affiancata da due autoritratti a matita e carboncino. Confrontandole risaltano subito all'occhio gli elementi caratteristici di questo scultore: sono tutti volti dalle palpebre chiuse o cave, il volto è sempre leggermente piegato (quasi mai dritto e fiero, se non nei ritratti a lui commisionati), la bocca semi-aperta.. Volti quasi trasfigurati a maschere grottesche, dove l'inclinazione del capo ne accresce l'impatto creando enormi solchi d'ombra in contrasto agli spigolosi lineamenti illuminati.

domenica 15 aprile 2012

Prendimi per mano

Ieri sono stata ad un concerto di pianoforte. Il programma dei brani scelti era ineccepibile eppure le aspettative sono state disilluse. Ho osservato le mani del pianista: sicure dei loro movimenti, eppur meccaniche: non provavano e non lasciavano provare emozione alcuna. 


Questa mattina mi è ritornata alla mente una vecchia citazione, purtroppo presa non so più da chi né da dove:


"Il tratto distintivo dell’uomo è la mano, strumento con cui compie tutte le sue malefatte"




Ho pensato quindi al valore delle mani nell'arte, alla loro capacità di esprimere dolcezza, intrepida forza o dolore estremo.

giovedì 5 aprile 2012

Alberto Sughi



Da pochi giorni ci ha lasciato Alberto Sughi. In genere non amo ricordare le persone solo dopo la loro morte, indi per cui non ho intenzione di scrivere un'elegia in sua memoria proprio ora.


Voglio però ricordare le sue opere, così delicate nella loro solitudine e nel loro spaesamento, eppur così forti nella loro capacità di turbare chi le osserva. Fu un autore spietato di eroi del quotidiano in tutta la loro normalità: nella noia, nel disagio, nella solitudine, nella sensualità. Nelle sue tele si percepisce la complessità del quotidiano e dell'emozioni più cupe dell'uomo contemporaneo, eppur egli riesce a dipingerle senza dare un giudizio, come solo un attento osservatore può fare.. In alcune sue figure scarne e sfigurate, volti senza lineamenti nè confini, ho spesso rivisto la forza crudele delle opere di Bacon (e sono stata ben lieta nel vedere che c'è stato chi ha già cercato di mostrarne le affinità: Manfredi Pomar).



Egli stesso disse: "Il lavoro del pittore non finisce col suo quadro: finisce negli occhi di chi lo guarda".

Fatevi guidare dalle sue opere, di cui potete trovare una breve carrellata nella galleria di Repubblica.
Mentre sul sito ufficiale di Alberto Sughi trovate l'intero processo di nascita di una delle sue tele, "La fine dell'estate (Gl'indifferenti)": dal primo slancio alle modifiche, ai ripensamenti. Vi assicuro che è molto interessante poter vedere come può evolvere un'opera.




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