lunedì 11 maggio 2015

UNA TIEPIDA ROSA DI FUOCO


Palazzo dei Diamanti, Ferrara dal 19 aprile al 19 luglio 2015



Barcellona, "la Rosa di Fuoco". All'inizio del Novecento la città freme di vitalità politica, sociale e culturale: nuovi modelli di vita e nuovo benessere; il parallelo spagnolo della Parigi bohémienne di fine secolo.

Ramón Casas, La garrota, 1894

La mostra a Palazzo Diamanti ripercorre questo denso momento storico, a partire nelle prime sale dall'architettura di Gaudì e il clima dell'Art Decò, passando per la bellezza e l'eleganza della Belle Epoque per poi volgere lo sguardo alla Settimana Tragica del 1909, ad una nuova attenzione per i miserabili ed emarginati. 
Grafica, arredi, gioielli, ceramiche e sculture offrono al visitatore preziose chiavi di lettura verso il  medesimo fuoco di rinnovamento che ripercorre tutte le arti, nessuna esclusa.

Eppure questa Rosa di Fuoco mi è parsa tiepida, forse perché una volta giunta all'ultima sala e capito di essere alla conclusione della mostra proprio quando mi stava coinvolgendo davvero...che amarezza! Mi è parso un sogno interrotto a metà.


Ad ogni modo, è stato piacevole per me incontrare ancora il giovane Picasso, scivolare nel languore quotidiano di una borghesia un po annoiata ed appassionarmi di fronte ai miserabili.

Santiago Rusiñol, Morfina, 1894


Una delle opere che mi ha meravigliato è stata La Morfina di Santiago Rusiñol.

La testa preme sul cuscino, la spallina scivola e il vestito si abbandona molle.
Con maestria e sensibilità, Rusiñol  si insinua nella solitudine di questa donna e ne delinea il profilo teso e contratto del volto. Salta subito agli occhi la mano che stringe con le ultime forze le lenzuola, proprio un attimo prima che la morfina faccia effetto. 
Eppure non c'è dolore feroce e neppure il benessere è già arrivato: è un istante fermo nel tempo, rapito tra i movimenti rallentati nel silenzio.

il morfinomane ha una felicità che nessuno gli può togliere: la capacità di trascorrere la vita in completa solitudine. E la solitudine significa pensieri importanti e profondi, significa contemplazione, serenità, saggezza…

(M. BULGAKOV,“Morfina” in Appunti di un giovane medico).



A fianco compare il Sogno di Miquel Blay. Ancora una donna, gli occhi socchiusi ma questa volta il corpo è immobile, trasportato nella serenità di un sogno chissà dove.
Sembra quasi, se si trattiene il fiato in completo silenzio, di sentire il profumo della ragazza e il respiro lento del sonno.




Ritorna Ramon Casas con l'opera Dopo il ballo a richiamare l'attenzione ai nuovi stili di vita del primo Novecento. 
Il pittore ritrae la pesantezza del corpo della donna dopo un'intensa serata di ballo. Rientrata a casa, l'ultimo sforzo è quello di giungere al divano, fiacca, scomposta. Eppure la composizione cromatica e l'abito richiamano un mondo elegante e posato, anche nel momento dell'abbandono a fine serata.

L'affianca qualche richiamo alla Femme Fatale, emblema della legame eterno tra desiderio e colpa, paradigma del decadentismo.

L'entusiasmo e la leggerezza di questi anni si scontra inevitabilmente con i fatti drammatici della Settimana Tragica (26 luglio – 2 agosto 1909): le sommosse, nate spontaneamente, erano carenti dal punto di vista organizzativo e vennero facilmente messe a tacere nel sangue. A questo triste momento storico è dedicato un reportage fotografico di Adolf Mas sui luoghi protagonisti delle rivolte, tra cui spicca una gigantografia dei tetti di Barcellona sovrastate dalle nuvole di fumo dei roghi.


Si giunge infine ai migranti, ai miserabili e agli emarginati.
Nell'acquaforte Il pasto frugale, Picasso ritrae un uomo cieco e una donna: figure scheletriche, volti affilati, guancia infossate, dita lunghe e sottili. Lui sfiora il braccio di lei e le tiene un braccio attorno alla spalla ma non c'è vero contatto: i due non si guardano. La donna sembra piuttosto rivolgersi verso di noi, tuttavia resta assorta in pensieri dai toni sommessi, mentre si sorregge il mento. Anche il tavolo è scarno: una bottiglia, un piatto vuoto.. La tovaglia spiegazzata richiama le vesti "svuotate" di queste due figure pelle e ossa. Un'immagine spoglia che tuttavia dona dignità a questo pasto frugale.

Ci si avvicina lentamente alle atmosfere del periodo blu di Picasso, colore scelto sia per la sua forza espressiva che per la matrice patetica e compassionevole con cui ritrae poveri ed emarginati. Il blu è il colore e l'emozione dominante dell'ultima sala e sommessamente ci accompagna fino all'uscita..
Forse per questo ho avuto la percezione di qualcosa di incompiuto, di irrisolto?


Orari di apertura

Aperto tutti i giorni:
Dal 19 aprile al 31 maggio: 9.00-19.00
Dal 1 giugno al 19 luglio: 10.00-20.00
Aperto anche 2 giugno

Biglietto d'ingresso


Intero: euro 11,00 
Ridotto: euro 9,00 (dai 6 ai 18 anni, over 65, studenti universitari, categorie convenzionate)

Per altre tariffe e informazioni: www.palazzodeidiamanti.it



venerdì 30 gennaio 2015

MARC CHAGALL. UNA RETROSPETTIVA 1908 - 1985



La mostra "Marc Chagall. Una retrospettiva 1908-1985", entra nell'ultima settimana di apertura e il Comune, vista la grande affluenza, ha deciso di prolungare gli orari di visita. Da mercoledì 28 gennaio e fino a domenica 1 febbraio, ultimo giorno di apertura, la mostra sarà visitabile tutti i giorni fino a mezzanotte, con ultimo ingresso alle ore 22.30.

Avevamo già parlato di Chagall nel post dedicato alla mostra CHAGALL, IL SOGNO E IL SEGNO- dalla Bibbia a Vervè poco più di un anno fa. Quello che viene proposto a Milano è una vera e propria retrospettiva (oltre 220 opere) che accompagna il visitatore lungo tutto il percorso artistico di Marc Chagall, accostando opere delle collezioni private degli eredi a prestiti dai maggiori musei del mondo (il MoMa, il Metropolitan Museum di New York, la National Gallery di Washington, il Museo Nazionale Russo di S.Pietroburgo, il Centre Pompidou).


"Scorrono gli anni, volano i mesi e i giorni.
Ti svegli una mattina e pare che sia finito un altro anno,
ma è soltanto un altro giorno"

chagall, nascita, 1911
Chagall, La nascita, 1911.

La pittura di Chagall racconta visioni, rappresentazioni di un mondo magico, ispirato dalla cultura popolare russa e dalla religione ebraica. I suoi quadri nascono da una combinazione perfetta di sogno e immaginazione, con una pittura fresca, morbida e sinuosa. Tra i soggetti ricorrenti figura il mistero della nascita, come in quest'opera del 1911. La tela è divisa in due da una diagonale: in basso i colori chiari richiamano la nascita, in alto il nero ci porta in un'atmosfera più cupa. Pare che quest'opera riprenda l'episodio autobiografico del pittore, il quale nacque senza respirare e si riprese solo dopo esser stato immerso in una vasca d'acqua gelida. La cesta sulla destra e il bambino in mano alla figura in ombra richiamerebbero proprio questo episodio. La madre è sdraiata, come una futura Olympia, e qualche linea rosso sangue ne segna il profilo. Il rosso emerge nella parte inferiore del dipinto anche nelle linee trasversali sul pavimento, richiamando l'idea del sacrificio insito nella nascita.

Le prime opere di Marc Chagall sono dedicate alla città natale. Trattano temi tipici della pittura di genere e del folclore locale: feste di nozze, sagre, funerali ecc. I colori sono intensi e cupi, le atmosfere inquietanti.



Ebreo in rosa, 1915


Soggetto dell'opera proposta qui a destra è un viandante, seduto davanti al grande triangolo della casa di Vitebsk e con il mento incorniciato da una barba fiammeggiante. Il dipinto fa parte di una serie di ritratti di vecchi ebrei realizzati da Chagall tra il 1914 e il 1916. Il rosa e il rosso esaltano l'oro, sullo sfondo, di un arco semicircolare con delle iscrizioni riprese dalla Torah. Il soggetto rappresenta un vagabondo trasformato dal pennello di Chagall in un sapiente dal quale scaturisce la potenza dello spirito profetico. alcuni dettagli richiamano la Bibbia: il calamaio che simboleggia le Sacre Scritture, l'albero fiorito in terra sterile che ricorda il bastone fiorito di Aronne e le lettere che si vedono scritte in cielo. Il diverso colore dei guanti fa riferimento alla cultura yiddish: il verde simboleggia lo stato di malattia, e quindi segna lo stato d'animo del personaggio, immerso nella solitudine e nei pensieri opprimenti, mentre la mano bianca, simbolo della luce divina. si richiama alla speranza che proviene da Dio.





Iniziato nel 1923 all'epoca della diffuzione del nazismo in Germania, la "Caduta dell'angelo" fu completata solo nel 1947, mentre l’artista attraversava una fase di totale angoscia a causa dell’invasione della Russia da parte dell’esercito tedesco, Nel dipinto è evidente la percezione di Chagall dell’addensamento delle nubi minacciose che incombono sul popolo ebraico.
Caduta dell'angelo, 1923-1933-1947

I colori si scuriscono, le ombre aumentano e compaiono le effigi tragiche del Cristo crocifisso (seppur coperto da un drappo ebraico), della Madonna, accostata a quello dell’ebreo in fuga e del rabbino che cerca di salvare i rotoli della Torah. La figura del messaggero angelico si è trasformata in un’immagine demoniaca: il precipitare della creatura ribelle alla volontà di Dio. Una visione apocalittica del cosmo accentuata dal disordine che impedisce di distinguere le cose del mondo; la presenza simultanea del sole e della luna stanno a significare anch’esse l’eclissi del tempo. La pendola che accompagna l'angelo nella sua caduta è una potente metafora della fine del mondo. Notiamo le immancabili case rurali della natìa Vitebsk, che rimandano ai ricordi dell’infanzia dell’artista. Una delle più superbe allegorie della tragedia ebraica in cui tutti i motivi portanti dell’iconografia chagalliana concorrono a simboleggiare il precipizio in cui il mondo del male trancia l’umanità, come se il pittore stesso cerchi una spiegazione alla guerra in questa sua oscura visione. L’animale color giallo oro che suona il violino, bestia innocente illuminata dall’oro della trascendenza, simboleggia la consolazione per l’umanità devastata. La superficie è completamente ridipinta, con masse compatte in cui si mescolano i toni scuri, a indicare l’impossibilità di penetrare le tenebre del caos universale.

Resurrezione in riva la fiume, 1947


Nel 1947, quando Chagall esegue questo dipinto, le immagini delle torture subite dagli ebrei nei campi di concentramento erano già state rese pubbliche. Qui l'artista riprende il motivo familiare del Cristo in croce per offrire una testimonianza della distruzione programmata del popolo ebraico, dato che, come scrive l'artista in una lettera al poeta Joseph Opatoshu, «ogni uomo dovrebbe provare che cosa significa essere un ebreo con il sacco in spalla». La sua è una denuncia agli orrori della guerra, resa con forza espressiva rara. In alto, illuminata dal riverbero di un incendio, la città di Vitebsk sembra consumarsi sulle sponde della Dvina. La scena di distruzione è sovrastata da un Cristo in croce, simbolo universale di una umanità sofferente e testimone della desolazione in cui sono gettate le popolazioni strappate alla città natale, che indossa il tallit, scialle della preghiera. Nel centro violaceo un groviglio di fantomatiche forme umane, uomini e donne sovrapposti, preceduti da un angelo con una bracciata di fiori al lato del quale appare un'ombra chiara, simile a un'anima che pare sollevarsi e tendere la mano verso quella del Cristo. In basso a sinistra una madre con il bambino in braccio guarda speranzosa al cielo. 








CHAGALL. UNA RETROSPETTIVA 1908 - 1985
17 Settembre 2014 – 1 Febbraio 2015
Milano, Palazzo Reale

ORARIO APERTURA
Lunedì, martedì e mercoledì dalle 9.30 alle 19.30
Giovedì, Venerdì, Sabato dalle 9.30 alle 22.30
Domenica dalle 9.30 alle 21.00
(la biglietteria chiude un’ora prima)

Per maggiori informazioni: http://www.mostrachagall.it/info/

giovedì 11 dicembre 2014

L'ARTE DEL FUMO E IL FUMO NELL'ARTE (pt. 2)


Nel fumo


Quante volte t'ho atteso alla stazione
nel freddo, nella nebbia. Passeggiavo
tossicchiando, comprando giornali innominabili,
fumando Giuba poi soppresse dal ministro
dei tabacchi, il balordo!
Forse un treno sbagliato, un doppione oppure una
sottrazione. Scrutavo le carriole
dei facchini se mai ci fosse dentro
il tuo bagaglio, e tu dietro, in ritardo.
poi apparivi, ultima. È un ricordo
tra tanti altri. Nel sogno mi perseguita.

Eugenio Montale




James Dean in Gioventù bruciata, 1955.


Spesso il fumo viene associato alle sigarette, alla memoria di un ricordo svanito che riaffiora, a un'addio drammatico e uggioso (basti pensare a tutti i film usciti negli anni '40 e '50, primo fra tutti Casablanca) o all'alone di mistero di un eroe ribelle nel cinema. 
A proposito di ribellione e di fumo, c'è chi ha fatto del fumo di marijuana la sua particolare provocatoria tecnica. Si tratta dell'artista brasiliano Fernando de La Roque che realizza le sue tele attraverso maschere pre-preparate, ben consapevole che non è il soggetto in sé ad essere rilevante ma la tecnica pittorica. 



Fernando de La Roque

Fernando de La Roque all'opera















Ma c'è chi del fumo ha fatto più che una provocazione, ma una vera tecnica.
Uno di questi è Jim Dingilian, newyorkese, con un master in fotografia presso il Rochester Institute of Technology. Per creare le sue opere, l'artista raccoglie le bottiglie di liquore vuote di varie dimensioni, forma e colore. Dingilian vede ogni bottiglia scartata come un “artefatto del consumismo, piacere o terrore”. Le scene dettagliate di questi luoghi si possono trovare “imbottigliate” nelle sue opere, richiamano auto bruciate sotto i ponti o altri scenari, luoghi di desolazione ai margini delle periferie. L’artista per generare le immagini accende una candela, indirizza la fiamma e il fumo all’interno della bottiglia per rivestire le sue pareti con uno strato di fuliggine.



Jim Dingilian crea le scene, grazie a una mano incredibilmente ferma. Spazzola lentamente la fuliggine con la punta di un pennello legato a un bastoncino che manovra sospeso al centro della bottiglia. Utilizzando differenti pressioni, e l’incredibile controllo del polso, l’artista rimuove strati di fuliggine, quella che rimane sul vetro forma le straordinarie immagini.

Jim Dingilian

Infine c'è chi "dipinge" veramente dei quadri con il fumo: il suo nome è  Michael Fennel. 
Negli ultimi 16 anni ha sviluppato una tecnica particolare (che mantiene in parte segreta) per manipolare il fumo su pannelli di legno, creando incredibili opere.
Sul suo sito, l’artista spiega che “il fumo come strumento di disegno ha un ovvio limite: è molto volatile e non puoi disegnare una linea. Ma forse più grave è che puoi facilmente dare fuoco alla carta e bruciare tutto lo studio”.
Le opere hanno un aspetto etereo e volatile e, per quanto siano in bianco e nero, si fanno apprezzare proprio per i colori: il nero infatti è “luminoso”, e ha una profondità che al confronto il carboncino può risultare piatto e pallido.

Michael Fennel all'opera






Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001